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Sipari

Si cerca sempre qualcosa quando si osserva un’opera d’arte con gli occhi della passione. Forse semplicemente bellezza. O forse forma e nome di ciò che, nella nostra inconsapevolezza, ci ha rapito lo sguardo. Sono arrivato così a conoscere Giorgia Zanuso. Una piccola foto sul monitor del cellulare, sfogliando le opere presenti in un
catalogo, ha attirato irrimediabilmente la mia attenzione. Quello che evidentemente é il primo tassello per avviare una indagine” artistica era così attivato. Ho incontrato poco tempo dopo Giorgia e a colpirmi in quella occasione é stata la sua determinazione, la sua convinzione nel portare avanti il progetto che aveva iniziato poco tempo prima.
Si, perché se Giorgia é giovane anagraficamente parlando, altrettanto giovane é la sua storia artistica. Quest’ultimo aspetto rende ancor più interessante la maturità che dimostra invece nell’utilizzare l’arte come mezzo espressivo. Ed ecco che anche il secondo tassello si attiva: oltre l’aspetto c’é altro da indagare, c’é sostanza. Perché se la “forma” può dare il via all’avvicinamento ad un artista, sono contenuti e motivazioni ad alimentarne l’approfondimento. Giorgia non si avvicina per caso all’arte. Certo, in mezzo all’arte é cresciuta e questo ha forse comportato qualcosa. Ma se ad un certo punto della sua vita decide di imboccare questa strada non é per fare un semplice tentativo e forse neppure per appagare una passione: lo fa per bisogno. É decisamente questo l’aspetto per me fondamentale in un opera: sapere che é stata realizzata per necessità, perché l’autore non poteva farne a meno. Perché l’artista nulla poteva
in quel momento se non esprimersi in quel dato modo. La vita e le circostanze firmano la prima opera di Giorgia. É la rappresentazione di un messaggio, il racconto di un sentimento, il tentativo di ritrovare l’equilibrio dopo la vertigine di un’emozione.
Inizia pressappoco così il suo percorso artistico, il suo modo di vivere la tela come naturale estensione del corpo, di cuore e mente. L’equilibrio delle sue geometrie, l’utilizzo talvolta di forme frutto di teorie ben precise hanno un significato ed uno scopo che nulla ha a che fare con la semplice decorazione. Rispecchiano il suo modo
di essere rigorosa, certo, ma ci ricordano anche che basta una minima imperfezione perché l’intera struttura crolli. E sono un modo per raccontarsi, tenendo ben protetti tra le mura di tanto rigore quei contenuti troppo personali per essere fraintesi.
Così come la luce, elemento fondamentale in molte opere ma mai dominante nella composizione, è allegoria della vita, faro nel viaggio, in questa ricerca.
Se è quindi vero che si cerca sempre qualcosa in un’opera d’arte, è altrettanto vero che talvolta qualcosa si riesce a trovare, quando la si osserva senza poterne fare a meno, con lo sguardo rapito. Probabilmente siamo noi stessi l’oggetto di questa ricerca. Sicuramente questo é ancor più vero per un artista e non c’è dubbio che questa è l’indagine che sta facendo Giorgia, questo il suo percorso, questo il suo racconto.  

Claudio Castellini

In fermento, continuamente in fermento. La creatività, la mente e la mano di Giorgia Zanuso sembrano non trovare mai pace. Ho conosciuto la sua arte poco più di un anno fa quando venni chiamata a curare la mia prima mostra, la sua prima personale. Tele bianche e immacolate macchiate solo da fili dalle tonalità delicate e da profonde ma luminose ferite di luce. Un risultato affascinante tanto quanto
la pratica giapponese a cui si ispira, il Kintsugi o Kintsukuroi (letteralmente “riparare con l’oro”), che consiste nell’incollare i frammenti di un vaso o altro oggetto rotto con una lacca giallo rossastra naturale. Le crepe ricoperte di polvere d’oro (più raramente di altri materiali) attraversano l’oggetto ricomposto e lo illuminano dando vita a un’opera d’arte che, più che alla preziosità del metallo utilizzato, deve la sua
unicità alla casualità della rottura. Le cicatrici, splendenti e preziose, combattono la fragilità diventando simboli di rinascita e di forza. Il periodo minimalista, in cui l’artista dipingeva con la luce e poco altro, lascia il posto a molte altre sperimentazioni: alcune più caute, si pensi all’influenza della meditazione tibetana che trova compimento
nel ciclo dei Mandala, altre più istintive, come la forte gestualità ed espressività che si manifesta sulla superficie della tela con l’inserimento di colori e materiali naturali (i granuli di sabbia). Nonostante le molte variazioni lungo il percorso intrapreso, Zanuso richiama continuamente un elemento sulla superficie pittorica, un carattere estremamente rappresentativo della sua arte: la luce. Sembra banale,
forse, ma questa componente così sottile e delicata ha reso la sua ricerca estremamente riconoscibile, cosa non da poco in un momento in cui il proliferare di nuove manifestazioni artistiche è tanto evidente. C’è un’altra caratteristica che mi ha affascinato fin dal principio: la sua capacità di tenere a mente alcuni insegnamenti di grandi maestri italiani con le cui opere la giovane artista ligure si è confrontata fin dalla tenera età. In particolare un’idea del maestro milanese Bruno Munari racchiude tutta la pratica artistica di Zanuso: semplificare è più difficile di complicare, concezione diversa dal principio less is more dell’architetto tedesco Mies Van Der Rohe. Non è una ricerca sulla forma minimalista la sua, ma attraverso l’essenzialità riesce ad esprimersi meglio. Infatti nonostante sia fortemente attratta da tematiche complesse sul principio creatore e sul mistero dell’esistenza, l’artista è in grado di trasporre
sulla tela queste argomentazioni in modo semplice, eliminando via via gli elementi in esubero e raggiungendo un livello comunicativo efficace. Kandinskij1 ha scritto: «Quando religione, scienza e morale vengono scosse […] e i pilastri esterni minacciano di crollare, l’uomo distoglie lo sguardo dalle cose esteriori e lo rivolge a se stesso. La letteratura, la musica e l’arte sono i campi più sensibili, nei quali questa conversione spirituale si palesa in forma concreta». L’artista dunque diventa il tramite tra l’io collettivo e la conoscenza del mondo perché, attraverso la contemplazione della sua assenza, pensa all’invisibile rendendolo visibile. Zanuso ad oggi ha accolto in pieno il compito che le è stato affidato: attraverso l’arte è riuscita ad allontanarsi dalla vita contemporanea per affrontare la presenza di qualcosa di più grande. Nei suoi lavori non vi sono echi d’attualità o di cronaca, l’artista vuole allontanarsi da ciò che la circonda, isolandosi in un suo tempo. Ed è proprio ciò che emerge in Sipari, uno degli ultimi cicli realizzati, in cui attraverso l’utilizzo di acrilici colorati – che sprigionano una benefica energia tanto su chi li crea quanto su chi li osserva – si interroga sulla manifestazione della verità. Ogni strato di colore è coperto dal successivo come se per scoprire cosa si cela tra i sipari dovessimo aprirli uno ad uno. Ridisegna il percorso che ogni essere umano deve compiere per raggiungere una maggiore consapevolezza del proprio sé ma anche del mondo che lo circonda. Una verità che non si rivela nella sua totalità ma che si svela lentamente dopo un incontro, un evento o un altro accadimento vissuto nella vita quotidiana. Ma è l’ultima sua sperimentazione ad avermi folgorato: la trasposizione su plexiglass di tutte le ricerche condotte finora. Un materiale essenziale e sintetico su cui viene inciso il disegno da lei progettato che richiama immancabilmente la natura: le spirali, la sezione aurea, le costellazioni. Si crea così un cortocircuito tra la materia estremamente contemporanea e le tematiche trattate, antiche quanto antico è il mondo. Una ricerca innovativa e matura che riesce a coniugare la pittura, l’architettura e il design e in cui la luce assume un nuovo ruolo: non è più la protagonista indiscussa dell’opera ma rappresenta il mezzo attraverso cui l’opera prende vita. Diviene parte necessaria dell’insieme.

Mariasole Vadalà

Visioni d'Arte

 

In un periodo storico che ci vede completamente pervasi dallo storytelling, la giovane architetto Giorgia Zanuso contrappone un'arte non narrativa, concentrandosi su un'estetica dal forte impatto neo-costruttivista. Sulla tela posiziona fili e strip led, luci che illuminano le trame dipinte. Infatti nell'ultimo periodo relaziona il freddo minimalismo e l'organizzazione geometrica dei formati con la forza empatica delle campiture cromatiche. L'energia dei gialli, dei verdi, dei blu e dei rossi mantiene arricchendo quel rigore purista che l'aveva coinvolta in una fase iniziale: una gradazione segue l'altra, ogni strato sovrasta il precedente e solo tirando i vari Sipari si potrà giungere alla verità.

 

Mariasole Vadalà

Transiti

Un percorso suggestivo racconta la ricerca più recente di Giorgia Zanuso. Le opere in mostra permettono allo spettatore la ricostruzione spaziale, emotiva e psicologica della mappa espressiva di una giovane artista che, con fermezza e determinazione, procede celermente nel suo lavoro per sezioni tematiche e frammenti narrativi. Nell’occasione sono stati selezionati oltre venti lavori, molti dei quali appositamente realizzati, che, pur nella parzialità diaristica, offrono una campionatura significativa del suo liturgico impegno quotidiano e suggeriscono il mood – direbbero gli anglosassoni - dell’intero suo organismo creativo. “Evanescenze”, “Sipari”, “Spiragli”, “Sovrapposizioni”: sono alcuni dei titoli che ci conducono lungo gli itinerari della Zanuso. Si è scelto “Transiti” come titolo della mostra proprio per sottolineare come icasticità, purezza e rigore di fatto sottendano contrapposizioni sapienti e affascinanti. Via via che si guardano le opere, una dopo l’altra, la prospettiva estetica pare mutare ma all’osservatore attento non sfugge il come l’artista lavori ai fianchi un linguaggio su molti registri (e diversi materiali) per puntare a un messaggio unico e coerente: l’artista è un demone gaio, per citare Lea Vergine, ma serio che evoca la dimensione più profonda dell’esistere. L’artista, apparentemente mossa da debiti concreto costruttivisti, si presenta assertore della relazione complessa luce – colore – spirito – essere umano. Certo gli studi intrapresi e portati brillantemente a termine, vale a dire l’architettura, senz’altro hanno moderato il linguaggio personale e scientifico con l’espressione più intima e riflessiva. Zanuso fa uso della luce e del colore per evocare la dualità semantica di funzione – emozione e, senza volerci addentrare nei giochi di psicologia della percezione, possiamo convergere sul come il mondo esterno e la dimensione interiore si possano sintetizzare nel loro complesso di qualità anche morali e spirituali all’interno della misura oculare. Questa ricerca, che procede da alcuni anni anche in relazione al rapporto con lo spazio, motivando simmetrie e asimmetrie, illusioni e realtà, luce e oscurità, ancora una volta definisce la prospettiva del soggetto uomo nei confronti dell’oggetto mondo. Ecco allora che alcuni fenomeni direttamente legati ai temi della percezione visiva e alla teoria del colore quali la complementarità cromatica, il negativo-positivo, il contrasto simultaneo, non cessano di supportare la ricerca dell’artista che all’interno della superficie della tela dimostra la sua nativa capacità di organizzare in modo scenico gli elementi spaziali. Una serie di colori di impatto emotivo, che moderano l’idealità della luce (sovente introdotta in modo artificiale attraverso l’accorto impiego dei led) e della sua assenza,
la soglia tra materia e forma, il desiderio di un’architettura che mette in rapporto dialettico la vita reale con la dimensione estetica, permettono alla Zanuso di far incontrare dati scientifici e psicologici, il valore strutturale con quello sensitivo. La scansione modulata dello spazio pittorico che mai è aleatorio (perfino le porzioni vuote della superficie intendo), le sue successioni graduate, le sue proporzioni e
le sue configurazioni compositive sono al contempo semplici e articolate, evocano la qualità materiale e quella illusionistica, coinvolgono i concetti di tempo e quindi di durata, non di rado alludono a una musicalità armonica. Gli stessi strumenti del mestiere che appartengono al suo glossario espressivo (pigmenti, fili, led, tele e chiodini) concorrono unitamente alla mente e alla mano a quel processo di identificazione metaforica e di ricerca di conoscenza che, pur in modalità differita, coinvolge ogni volta l’osservatore. Tra razionalità, sconcerti, citazioni, lusinghe e sfrontatezze, la Zanuso ci propone con affettuosa ma strategica dissimulazione un lavoro tenace e multiforme, dallo stile equilibrato e asciutto, che, attraverso la presenza ostinata della luce e la disposizione ordinata delle parti, dichiara la sua lotta e la sua abnegazione al ritrovamento del vero sé.

                               

Riccardo Zelatore

Vissuto e rappresentato

 

Nel lessico di coloro che scrivono d’arte ci sono termini ricorrenti, alcuni persino abusati. Nell’occasione, il timore di ricorrere a uno di questi, confesso, mi si è palesato. Tuttavia non sono riuscito a reperire un concetto che qualificasse in modo migliore quel senso di appartenenza a un territorio che qui è al contempo geografico, antropologico e culturale. Mi riferisco alla definizione genius loci, che mi è sembrata immediatamente calzante per determinare quel “filo teso” che, da titolo illuminato di un’opera del 1977 di Emilio Scanavino, mi aiuta ora a tracciare il perimetro di questa mostra.Ideata come parziale documentazione del panorama artistico nel comprensorio albisolese e finalese del ventesimo secolo, la mostra si sofferma su alcuni degli artisti più rappresentativi che hanno frequentato le cittadine di Albisola e Calice Ligure a partire dagli anni Venti del secolo scorso (per la prima e dalla metà degli anni Sessanta per la seconda) e che hanno gettato le basi per una continuità di ricerca che oggi trova una delle più interessanti conferme nei lavori della giovane Giorgia Zanuso.La mostra offre al visitatore un'occasione particolare per cogliere l'originalità e la qualità del contributo delle due comunità artistiche alla grande avventura dell'arte occidentale del Novecento e per incontrare le nuove sensibilità che da quei presupposti straordinari hanno germinato.Che la costruzione del futuro sia indissolubilmente legata al passato – e palese è il nesso ripreso dal titolo scelto per la mostra - non è certo una novità, così come non può sorprenderci che il valore della progettualità assuma un peso determinante nella strategia linguistica di Giorgia Zanuso. Salvaguardia e rilettura diventano elementi decisivi nella repentina evoluzione del suo lavoro, capace di offrire una partitura visiva intrisa di un esprit de géometrie tutto italiano, o ancor meglio mediterraneo. Il motivo compositivo che ricorre nei suoi lavori genera un processo creativo non puramente dimostrativo ma fecondo di emozioni e sorprese. Quello di Zanuso è un processo creativo aperto, pur pilotato da un metodo affinato con la pratica, moderato di volta in volta dal passaggio dalla monocromia all’articolazione policromatica, dalla bidimensionalità dell’idea alla tridimensionalità dell’esecuzione, dal proporre un esito visivo non astratto ma concreto. I filamenti minuziosi che si intrecciano, l’alternarsi di luce e di ombra, le pause dei pieni e dei vuoti si mettono tra l’artista e la sua vita a creare un legame stretto tra genesi dell’opera e propria identità.Non sta a me entrare nei meandri dell’approccio psicologico, progettuale e metodologico di Zanuso che sarà ben esaminato, nelle pagine successive, da Mariasole Vadalà, quanto sottolineare come, ancora una volta, la cultura del progetto e del ben fatto, con Giorgia, diviene testimonianza garbata e tangibile.Uniche e irripetibili. Lo si è detto e scritto molte volte. E così Albisola e Calice sono state. Ecco allora che accanto ai lavori di Agenore Fabbri, Lucio Fontana, Aldo Mondino, Bruno Munari, Emilio Scanavino, la curatrice ha selezionato un nucleo significativo di opere di una giovane ligure che bene ha conosciuto le ricerche dei maestri presenti nella mostra e che, senza eccessiva soggezione ma con grande rispetto, documenta all’interno della sua ricerca i debiti culturali e gli insegnamenti maturati dallo studio di quell’irripetibile convergenza di arte, cultura e passione sociale perdurata e rinnovata per oltre sessant’anni in un’area geografica così gradevolmente costretta.

 

Riccardo Zelatore

Luce con tutto ciò che ne consegue

 

Che cosa fa più clamore oggi, nel mondo dell’arte? Poco, se si eccettuano i record delle battute d’asta. Quello che c’era da provocare è stato provocato, quello che c’era da sperimentare speri-mentato, quello che c’era da sovvertire sovvertito. In questa corsa a urlare più forte, il pubblico è ormai assordato, non più capace né interessato a prestare orecchio a una voce ferma e seria o a un poetico bisbiglio. Quelli che reggono ancora l’urto dei decibel sono sempre meno, e non si può dire se questo assordamento sia reversibile o meno, se gli interessati all’arte un domani torneranno a sentire: è possibile ed è probabile, ma non certo. Nel frattempo, dare conto di ricerche artistiche più meditate, rigorose, riflessive è un’attività che non può cessare, avendo come duplice scopo in primo luogo tenere aperto il canale di comunicazione con chi è ancora in grado di intendere e in secondo luogo registrare la traccia a futura memoria di quanto sta avvenendo in questi anni lontano da palcoscenici e amplificatori. Quel che è certo è che andare a seminare nel solco tracciato dai grandi di cent’anni fa è un’attività che qualcuno si ostina a fare, con la consapevolezza di giocare in un ruolo poco appariscente nel contesto odierno, ma con l’intenzione di trovare ben altro, in questa ricerca, oltre all’approvazione o all’attenzione altrui. Per esempio, Giorgia Zanuso ha trovato la propria strada nella lezione di Kazimir Malevic, Joseph Albers, Piet Mondrian e Theo Van Doesburg, ovvero coloro che all’inizio del Novecento diedero alla geometria una nuova ragione di esistere sulla tela, recuperandone il valore simbolico di origine ancestrale e sviluppandone la possibilità non tanto di definire spazi, bensì di riferire mondi.Nelle opere di Zanuso, la geometria appare né come un fine né come un mezzo, bensì come un’ine-vitabile “ordine delle cose” in cui si sistema quanto avviene all’interno dell’opera. E quello che avviene è generato da elementi anch’essi di estrema valenza simbolica. Il filo, sia esso trasparente o nero, è considerato dalla stessa autrice un riferimento ai legami della vita, e ciò è indubbiamente vero se si considera il filo come portatore di nodi o intrecci, ma lo è ancora di più se esso è preso come simbolo della vita stessa (non occorre tornare ora sulle valenze dei più celebri fili della Tradizione, da quello filato e reciso delle Parche a quello di Arianna). La luce, poi, qui utilizzata con strisce di LED disposte in modo ortogonale o diagonale, diventa elemento vivificatore dei fila-menti e al contempo ordinatore dello spazio – una tela intonsa – su cui agisce. Appare comunque nell’operare di Giorgia Zanuso una razionalità sempre allerta grazie alla quale elementi dalle così alte valenze vengono amministrati con rigore e fermezza.I suoi lavori possono anche essere fruiti al buio, ma in tal caso al loro significato intrinseco si aggiungerebbe quello dato dall’ambiente e da una certa “spettacolarità”, possibile anche se non cercata. Ecco perché essi sono più adatti alla visione a piena luce, in cui ogni elemento appare per quello che è in sé e non per una sinergia con l’ambiente, e il filo si presenta perfetto nel suo essere filo, e la luce non solo fonte di luminosità per uno spazio buio, ma semplicemente – o meglio, “difficilmente” – luce, con tutto ciò che ne consegue."

 

 Alberto Rigoni

 

 

 

 

"Nell'incontro circolare tra nette divisioni sfumano gli opposti di cui è fatta la materia, fino a ricomporre l'insieme per attrazione di contrasti. Spezzati, semmai, sono i riflessi singolari che rispecchiano l'identità dell'osservatore, per un istante riuniti dal potere dell'attenzione che la fantasia suscita. Messa nero su bianco pare chiara l'interpretazione di un realtà che invita a partecipare per battere la fugacità di un bagliore.È semplicemente questione di scelte trovare una posizione, in ciascuno solida abbastanza per amare persone altrimenti perse senza lo spazio di un abbraccio"          

 

Federico Basso Zaffagno

 

Ferite di luce

 

"Una tela vergine. Fili. Led. Questi sono gli elementi che vanno a comporre le opere di Giorgia Zanuso, all’apparenza semplici per le linee uniformi e pulite e per le tele spoglie ed eteree, dietro a superfici così sobrie si cela, però, un lavoro complesso dai significati profondi. In un’epoca caratterizzata da un’inquietudine crescente, in cui si prova timore per ciò che non si conosce e in cui si riscopre il bisogno di misurarsi ma soprattutto rifugiarsi in dimensioni ancestrali, si palesa la necessità di una conversazione spirituale con se stessi. Osservando le opere di Zanuso, l’ansia di proiettarsi verso il futuro scompare, perché il tempo appare sospeso e distante, non influenzato da ciò che circonda l’artista, ma generato dai moti del suo animo. Non dominata dal periodo storico in cui viviamo, inesorabilmente distratti da una quantità incalcolabile di immagini ed informazioni divulgate senza sviscerare i contenuti, l’artista si interessa ad un’arte capace di scavare in profondità e che cerca di porci di fronte al mistero dell’esistenza. Tutto ha un significato nella sua opera. Tutto è generato da elementi che assumono un’estrema valenza simbolica. Zanuso si esprime grazie a ordine e spazio, retaggi della sua formazione accademica, resi sulla tela attraverso l’utilizzo di strisce di led che, in alcuni casi, irradiano luminosità centralmente o diagonalmente, in altri, vanno ad incrociarsi creando una profonda rottura a forma di croce sbilanciata, simbolo inequivocabile di sacrificio. Squarci ancor più evidenti a led spento. La ferita è caratterizzata da due lembi, tangibili spaccati materici in grado di separare tra loro alcuni grandi opposti: il cielo e la terra, il sole e la luna, l’estate e l’inverno. Con - trasti inspiegabili e diversi che, unendosi, si tramutano in confuse congiunzioni. Dalla loro intersezione, nucleo propulsore di energia, si genera, dunque, un intreccio di legami inscindibili formatisi attraverso l’utilizzo di fili, a volte trasparenti in altri casi colorati. Il sacro si svela silenziosamente al centro, non più certezza da raffigurare, ma fulcro in cui converge tutta l’energia, in un senso di comunione capace di abbattere tutte le barriere tra gli uni e gli altri. Una volta accesa, è proprio la luce l’elemento unificatore: i due lembi si riuniscono, la ferita si rimargina, scomparendo apparentemente ma non definitivamente. Scelta que - sta che nasce da una riflessione sulla vita: spesso gli intimi tagli dell’anima rimangono incurabili, incapace persino lo scorrere del tempo di cancellarli, seppur dolorosi essi si presentano come un’opportunità, uno spiraglio attraverso il quale è possibile giungere alla verità. Una verità che non si rivela nella sua totalità, ma che si svela attraverso l’incontro di soggetto e oggetto, e che si manifesta a quel qualcuno da cui dipende for - temente, per poi evaporare. Dietro ad ogni avvenimento positivo e luminoso, dunque, si cela un’oscurità che con - sente di apprezzare e di restituire il giusto valore a momenti di vita vissuti a led acceso. Zanuso eleva la fragilità, o per meglio dire, esibendo le cicatrici, le rende splendenti e preziose, in quanto simboli di rinascita e di forza. La luce, collante e motore dell’essere, nasce ed esce dall’opera rivelandosi a tutti e in quanto elemento creativo tramuta la ferita in nuova vita."

 

Mariasole Vadalà

FUTUROanteriore

 

[..] Il lavoro della giovane artista ligure Giorgia Zanuso è diretto discendente del laboratorio artistico di queste terre e spicca per la difficile ma riuscita capacità di convogliare sperimentazione tecnica e ricerca interiore. Due isole che se, a volte, possono apparire così lontane e distanti, incapaci di intrattenere rapporti, in altre situazioni, ed è questo il caso, arrivano a toccarsi e completarsi. Si completano a tal punto da far passare la loro unione come il tesoro da scoprire e attraverso cui è necessario giungere per cogliere la verità.

La ricerca artistica di Zanuso è un lavoro in continua evoluzione: inizialmente l’artista si confronta con una tela vergine, bianca e spoglia, in cui è l’essenzialità a emergere in quanto tale, perché richiamando il concetto di vita e della forma in potenza, rappresenta il nucleo centrale dell’essere. Non è la sola interprete: ad essa, infatti, si uniscono i fili, che collegano tra loro i margini opposti dell’opera e disegnano le relazioni che si allacciano, e poi la luce, il vero nucleo della tela, non solo perché sovente è posta al centro ma per il messaggio che porta con sé: rappresenta, infatti, il fulcro verso cui converge tutta l’energia, unione nella divisione, medicina nella sofferenza, un’opportunità dunque a cui è impossibile rinunciare.

Raggiunto questo iniziale traguardo, in cui l’artista si è confrontata con il suo impulso interiore, la ricerca evolve e in un periodo di grande esplorazione abbandona la tecnica a cui si era affidata fino a quel momento per variare i materiali ma anche le forme del suo lavoro. Il suo istinto è moderato dalla progettazione, e viceversa. Poco è lasciato al caso. Un periodo complesso in cui la tecnica e la ricerca interiore coincidono del tutto e da cui germoglia la serie dei Mandala, le figure geometriche tipiche della cultura veda. Il susseguirsi di movimenti, uno dietro l’altro, per un tempo infinito, richiede una concentrazione senza eguali che, a differenza delle ferite riportate sulla tela, non proviene dall’istinto, ma da un’importante e razionale sperimentazione tecnico-stilistica che nel suo sviluppo spinge alla meditazione.

In entrambi i casi al centro delle opere si svela una commistione velata di messaggi, un intreccio di fili e scelte che si aggrovigliano al centro. Qui confluisce l’energia tensiva dell’opera e il sacro si svela silenziosamente dove tutte le linee dei Mandala convergono e dove gli strip led si sovrappongono. L’ultimo periodo ha visto l’artista unire le influenze pervenute dai due precedenti: si assiste ad un visibile recupero dei led a cui si affianca uno studio decisamente meno essenziale, che si concentra sulla sostanza e sull’utilizzo delle componenti fisiche recuperate dall’ambiente circostante. L’influenza del territorio entra nei quadri e così implica la stessa vita. Il candore minimale delle tinte iniziali è sostituito da colori naturali, la tela spoglia viene ricoperta di granulato e sabbia, elementi che collocano la ricerca in un periodo fortemente materico.

Per questo è facile riconoscere sulle tele l’Abisso del mare, le Gradazioni di luce, ma anche le Interferenze e i Passaggi di confine che si incontrano in Liguria quando il calore e l’afa sono tanto forti da non rendere facilmente distinguibile la terra dal cielo o la sabbia dal mare. O ancora il corpo sulfureo di una nuvola o l’Energia creatrice del sole, che l’artista colora di una luce lieve e fuggevole. Tutto si uniforma. Negli ultimi lavori di Zanuso non ritroviamo più una netta linea di demarcazione tra il bene e il male, la guarigione e la sofferenza, tutto è più evanescente, ma contemporaneamente molto più reale. L’artista si concentra sulle sfumature e non più su opposti tanto radicali e separati.

Il messaggio, però, resta: la luce, l’elemento unificatore, permette alle due lacerazioni di riunirsi e la cicatrice diventa nuova occasione di vita.

 

Mariasole Vadalà

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